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Il Giardino delle Esperidi

Specchi d'Oltre.

martedì 23 agosto 2011

L'Amore e la Morte.
L'Amore che è Vita, la Morte che è Vita.
S. Francesco la chiamava 'Sorella Morte' e gliene rendeva lode,  molti altri ne parlano in termini di Grande Maestra, definendo la Vita la scuola per Morire.
Non è la Vita che è Morte o Amore. E' il contrario. O almeno, a me sembra così. Nè si tratta del gioco degli opposti, perché non c'è nulla che si possa opporre alla Morte. Vita e Morte non coincidono. Ma Morte è Vita. Amore e Morte non coincidono, ma Morte può coincidere con Amore, anzi, è senz'altro così. Thanatos è gemello di Eros e non è un caso.
Ed è per questo che si deve devozione, perché la devozione è l'atto-d'amore per eccellenza.
La devozione è precedente alla dicotomia buono-cattivo, perché la devozione E'. Prima di essere una sposa buona o cattiva, una madre buona o cattiva, un guerriero buono o cattivo, si è una sposa devota, una madre devota, un guerriero devoto, ecc. Bisognerebbe superare di nuovo le categorie di buono/cattivo per tornare ad essere solo devoti. Ci sarebbe da capire che la devozione che si deve a certe cose, non è cieca. E non necessariamente prelude ad un atto di fede.  Non c'è nulla di cieco o fanatico in ciò che scaturisce dal più profondo del cuore o dell'Anima, che è quasi la stessa cosa. Poiché il cuore è la parte manifesta dell'Anima, è il tramite, esso non può sbagliare quando è limpido, cioè libero dai compromessi del resto delle altre cose che filtrano la visione del mondo.
Così,  Lei pretende devozione, e credo che, se e quando si vien meno a questo presupposto, la Sua punizione si rende palese con il desiderio di essere infine da Lei accolti, la sua punizione si traduce in malattia.
Ma di questo non sono ancora sicurissima, non ho ancora le idee chiare.
Di certo è il concetto totalmente opposto a quello che si conviene ad altre Nere, magari bambine e assassine, che non accolgono devoti, nonostante esaudiscano preghiere, ma infine seducono col suono dei sonaglini alle caviglie (?) e le danze d'estasi (?) per condurre comunque all'eterna Stasi.
Bisognerebbe chiedersi a cosa o chi si è devoti prima di stabilire che lo si è veramente. Si dovrebbe capire un attimo prima della confusione che reca il caos, che tale devozione non ha paragoni sulla terra e non si traduce in volti o amanti, non si traduce in percezioni fisiche. Quella è solo la 'sintomatologia' o la manifestazione momentanea, la risposta a qualcos'altro, lo specchio dell' Oltre.
Tutto avviene al di là di questo piano, verità che mi pare di poter provare molto spesso, motivo per cui non si è mai certi della propria 'devozione'.
Me lo sono chiesto il perché di certe cose, la conclusione è semplice, devota sì, ma il perché non lo sapevo nemmeno io.
Adesso lo vivo e lo respiro. 
 
*Un grazie speciale a chi mi tiene la mano, a chi mi mantiene ancorata.

Seguiamo archetipi, ricalchiamo archetipi.

domenica 21 agosto 2011

Seguiamo archetipi, ricalchiamo archetipi.

E' un fatto frequente.
In ogni dove e in ogni cosa cerchiamo l'archetipo portante che ci dovrebbe, secondo noi, guidare a gestire gli eventi della vita, soprattutto in certi momenti in cui ci sentiamo più fragili e deboli.
Li ricerchiamo nei piccoli segni fino a che qualcosa non trovi un filo conduttore e può succedere che ci si sente sopraffatti da schegge che sentiamo aver un senso, finché ci sentiamo anche ridicoli.
Cercare l'Archetipo e ricondurlo al punto, segnare il momento in un angolo di spazio, aprire gli occhi, allertare le antenne.
E viene sempre un momento in cui ci pensiamo eccessivi, esagerati o ciechi e ridicoli.
A che pro?
Ritrovarsi in una descrizione, in un'icona, qualcosa che è di per sé una costellazione simbolica, che invasa e disorienta gli occhi meno allenati.
A che pro?
Il rischio perenne della follia, della stranezza.

Poi ci rendiamo conto.
Ma di cosa?
Mi sono chiesta spesso a cosa conducano determinati movimenti del ''Cosmo'', quanto fossero produttivi o improduttivi certi atteggiamenti mentali, in prima persona me lo sono chiesto, in seconda analisi ho ricevuto le più svariate critiche.
Risolto l'arcano delle mie personali stranezze, la domanda a cui sono più avvezza è la seguente: quanto di mio ci ho messo?
Quanto, ammesso e non concesso che sia corretto il mio modus operandi, ho risparmiato in tempi e risultati?
Ma soprattutto, in terza analisi, l'ho cercato io quest'archetipo che adesso mi è chiaro o semplicemente era tanto chiaro che m'avesse invaso la strada che ho solo  avuto l'illusione di seguire qualcosa che invece mi aveva già trovata e travolta per prima?

La risposta me la sono già data, che sia una risposta o meno non è importante, è la mia visione delle cose, e tale resta. Posso solo continuare a raddrizzarla.

L'amore che muore e l'Amore che non muore.

venerdì 19 agosto 2011

C'è l'amore.
L'amore muore.
E c'è l'Amore.
L'Amore non muore.
Però a volte vorrebbe morire, mentre l'amore che muore quando muore non vorrebbe morire e avrebbe voluto essere Amore, che non muore. Ed era amore.
E' nella natura profonda delle cose.
E non si cambia la natura delle cose, si può giocare con essa, ma non si cambia.
Chiunque aspira ad amare e anela nell'amore la felicità. In pochi, eletti, aspirano all'Amore e se vien dato d'Amare, se in quella natura vi è Amore, si è disposti a farlo.
E non si sa.
Perché non si sa mai aprioristicamente se si tratta d'amore o Amore, si sa quando è.
Quando si soffre perché l'amore è morto, o perché l'Amore non muore.
Quando la natura si è manifestata, solo allora, sappiamo di che natura stiamo parlando, o stiamo vivendo.
Quando, nella sofferenza, ci rende conto che al di là di quegli occhi non c'è più nulla, c'è il solo il baratro della desolazione, del fallimento.
O l'abisso di quegli occhi segnato nel tempo e nello spazio, per sempre, un attimo eterno e statico che non passerà mai.
E' questa la differenza dell'attimo da cogliere per evolversi che deve passare, e l'attimo da cogliere per fissarlo e per sempre, per promettere ancora, per fissarsi ancora.
Quando al di là di quegli occhi non c'è più nulla.

Oggi avrebbe dovuto tremare la terra, per me, avrei dovuto perdere il respiro e chiudere i miei occhi, o forse allagarli di lacrime.
Ma oggi so che al di là di quegli occhi è il vuoto e nessuna terra ha tremato, nessuna lacrima ha bagnato nulla, nessun occhio ho chiuso.
Perché non dormo più.
Perché ho la consapevolezza delle mie parole e la Visione dell'attimo eterno.
Sono vigile e so.
Oltre lo Spazio e oltre il Tempo.
Amore E'.


The dream

                                                Img. Spyrre, 2009



"Morire, dormire... nient'altro; e con un sonno dire che noi poniam fine alla doglia del cuore, e alle mille offese naturali, che son retaggio della carne; è un epilogo da desiderarsi devotamente, morire e dormire! Dormire, forse sognare, sì, lì è l'intoppo; perché in quel sonno della morte quali sogni possan venire, quando noi ci siamo sbarazzati di questo terreno imbroglio, deve farci riflettere; questa è la considerazione che dà alla sventura una sì lunga vita; perché chi sopporterebbe le sferzate e gl'insulti del mondo, l'ingiustizia dell'oppressore, la contumelia dell'uomo orgoglioso, gli spasimi dell'amore disprezzato, l'indugio delle leggi, l'insolenza di chi è investito d'una carica, e gli scherni che il paziente merito riceve dagli indegni, quando egli stesso potrebbe fare la sua quietanza con un semplice pugnale? chi vorrebbe portar fardelli, gemendo e sudando sotto una gravosa vita, se non che il timore di qualche cosa dopo la morte, il paese non ancora scoperto dal cui confine nessun viaggiatore ritorna, confonde la volontà e ci fa piuttosto sopportare i mali che abbiamo, che non volare verso altri che non conosciamo? Così la coscienza ci fa tutti vili, e così la tinta nativa della risoluzione è resa malsana dalla pallida cera del pensiero, e imprese di grande altezza e importanza per questo scrupolo deviano le loro correnti e perdono il nome d'azione... Adagio voi ora!" --Amleto




Img. Spyrre, 2009






La Vita è una Ruota che non smette di stupirci, e questo post è per te, amica di Ruota.

Prometeo

sabato 13 agosto 2011

Prometeo dice a se stesso:

" Udite piuttosto le miserie dei mortali,
 e quali bambini erano
avanti che li rendssi saggi con l'uso della ragione.
(...) Essi, prima, pur vedendo non vedevano,
pur udendo non udivano: simili a larve di sogni
passavano nel tempo una loro esistenza confusa
senza conoscere dimore di mattoni esposte al sole,
senza lavorare il legno; ma sotto la terra abitavano
come formiche che il vento disperde via,
in antri profondi non rallegrati dal sole.
Neppure conoscevano i segni costanti che presagiscono l'inverno
e il tripudio dei fiori a primavera
e quello dei frutti in estate;
ma agivano in tutto senza discernimento.
Finchè io additai loro il sorgere e il cadere degli astri,
tanto ardui a stabilire;
quindi per loro ritrovai la scienza dei numeri,
base di ogni dottrina e l'accoppiamento delle lettere,
che serba il ricordo di tutto ed è padre alle Muse.
Io per primo piegai al giogo le fiere selvagge,
affinchè schiave di cinti e di basti,
sostituissero l'uomo nei lavori più penosi
e sospinsi sotto il timone dei ciocchi i cavalli
docili al freno , ornamento di splendidi fasti;
Nessun altro, fuorch'io, inventò i veicoli dei marinai
che ali di lino fan scivolare sui mari.
(...)
Maggiore ancora sarà il tuo stupore quando udirai
le arti e gli espedienti che io ho escogitato.
E questo il più grande: se alcuno cadeva ammalato
non disponeva affatto di rimedi
nè cibo o in unguenti o in bevande,
ma si dissecchiva per mancanza di cure; finchè io
insegnai loro misture di medicine efficaci
che sgombrano ogni affezione.
Determinai le leggi dell'arte divinitoria.
per primo distinsi quali tra i sogni
dovessero realizzarsi e li feci attenti
alle voci indistinte e agli incontri fatti per via."

Eschilo, Prometeo incatenato, ne ''Le tragedie'', a cura di C. Carena, Torino, Einaiudi, pp 143-144.

‘’Perché è La Miseria: non muore mai!’’ Lo zio.


Ecco un’altra impervia con cui ho litigato fino ad arrendermi.

Per eccellenza colei che nessuno vorrebbe, la scarogna, le disgrazie dietro l’angolo, le segnature sinistre. Forse la sua pelle, forse la sua capacità di resistere persino alle guerre, ha ispirato le fantasie maldestre di chiunque ma poi ti regala un fiore. E si veste di un colore orgoglioso come a ricordarti che ‘lei è’.  E’ la ‘potente’ tra tutti, colei che vive all’angolo buio e ombroso, alla fine della strada. Saluta i passanti e sghignazza e se qualcuno cerca di farle male, semplicemente fa dono di sé. C’è voluto del tempo per comprenderla, il suo impatto endemico non è di facile digestione, è coperta di insulti e dicerie, ti ricopre di maledizioni e non sono mai riuscita a liberarmi di lei.

Un giorno la osservai, stava al suo posto con dignitosa falsa umiltà, sembrava volesse inginocchiarsi e una visione nerastra e viola mi venne incontro prepotentemente: Venere-Urania, colei che si inginocchia e rinnova le Acque, può soffocarti e può dissetarti.

‘’Allora non sei così cattiva per come dicono’’

‘’Solo con alcuni’’ e tornò ad ammutolirsi serenamente.

‘’Sei come la colonna sonora di un film, bello o brutto che sia, lo persegui tutto. Sei Ovunque.’’ E nonostante mi sembri sia figlia dell’Urania venusiana, mi ricorda l’Ovunquità di Hecate.

Da quel momento mi presi cura di lei e ovunque vado, riesce a ricordarmi la sua immensità.

 

 

                                            Tradescanzia Pallida, comunemente chiamata ‘’La Miseria’’.

 

 





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