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Il Giardino delle Esperidi

Alle misere -conosciute per cattiva sorte-

giovedì 10 febbraio 2011


Chi ve l’ha detto che voglio essere ‘eletta’?
Chi ve l’ha detto che quello che faccio/facciamo deve necessariamente ‘speciale’ o fuori del comune?
Chi ha chiesto il vostro parere?
Perché dire di fare certe cose deve essere necessariamente sintomo di mancata illuminazione o qualche via spirituale ad essa connessa?
Che c’entra?
Ignoranti, sì, ma quanto?
D’altronde il retaggio cattolico è pure questo: avere in mente bene/male come categorie assolute e non distruttibili.
Sono stanca di essere messa a paragone di certe persone che si sentono ‘figli di Kalì’ e pregano il papa. Sono stanca di sincretismi di strada.
Sono stanca di essere additata per qualcosa che non si ha in mente ben chiaro cosa sia.
Additate me con le stesse parole di cui voi vi incensate.
È così che abbiamo perso le radici. E’ così che non le ritroviamo. Noi.
Sfumatore che voi non potete cogliere, lasciate perdere.
La strega è una persona che ha bisogni, paure e desideri alla stregua di altra gente, ma non basta essere. Non basta dirlo. Non basta questo.
Potete annaspare, intrecciare fiocchetti e usare persino il vostro pessimo sangue, non ce la farete mai.
Non è così che sarete diverse.
Non c’entra niente con la religione, no. Potete cambiare culto ogni settimana ma non c’è niente in questa ricerca forsennata della pratica che vi avvicinerà lontanamente alla parola ‘strega’.
Strega è una parola che rappresenta l’inizio di un cammino e non l’arrivo, siete indietro molto più di quanto lo riuscite a pensare.
Non ne posso più.
Galline.
Non vi interessa una ricerca seria, ma legare un fidanzatino o fare venire l’intossicazione alla vicina di casa che vi ha parcheggiato la macchina sotto il portone.
Non ne posso più dei vostri stupidi ‘poteri’ da mestruazione femminile.
Non li avete. Non li avrete mai. Non li volete.
Volete l’illusione di riuscire a fare chissà cosa, volete sentirvi più importanti e darvi un tono, volete difendervi dalle meschinità con altri pensieri meschini.
Se qualcosa in voi miseri è funzionante, quella è la forte invidia di cui vi nutrite per continuare a strisciare, vili vermi.
E io di voi che mi additate per ‘comune che si crede anima eletta’ non ne posso veramente più.
Prendetevela con la vostra incapacità a fare tutto compreso aprire un libro che non sia di Currot o comari del genere.
Prendetevela con la vostra povertà, piuttosto, che sia spirituale o intellettuale, o culturale, poco conta. Siete affette da questi mali indistintamente.
E smettetela di giudicare senza avere niente in mano! Chi ve ne ha dato il diritto?
Almeno abbiate la dignità di ficcarci il naso nelle cose che giudicate! E vi garantisco che vi passa la voglia di dire A perché non sareste in grado di sostenere nemmeno 1/10 dello spessore che guardereste dal buco della serratura.
Figuriamoci aprire una porta!
Non ho mai chiesto il vostro consenso, non siete persone che reputo degne o all’altezza di un ‘consenso’.
Ma il mio consenso non l’avrete mai, né una briciola di rispetto.
Disgusto. E basta. Ed è già troppo.
Della vostra invidia non me ne faccio niente.
Del vostro silenzio ve ne sarei grata.



Nota: dietro questo post esistono nomi e cognomi che ovviamente non ho messo alla berlina. 
Non cercate di capire troppo, non riuscireste. 
Non proiettatevi nelle parole del mio sfogo, parlo di soggetti precisi che difficilmente passeranno di qui. 

Ricomincio dalla cera

sabato 5 febbraio 2011


Candlemass, Candelora, Imbolc, come ogni anno, il 2 febbraio.
Per me un po’ in ritardo con la luna a favore.
Non è stato un calcolo voluto, solo un’altra coincidenza dettata più da uno stato d’animo che da eventi esterni.
E ancora una volta ricomincio da qui, dalla cera.
Oggi ho fatto le candele che non avevo concluso, cera lasciata a metà che chiedeva aiuto e che stava andando alle ortiche da sé.
Finché mi sono decisa a fondere.
Non ho fatto tantissime candele, non avevo neanche molta cera a disposizione ma quella che mi basterà per tutto l’anno, come sempre.
Ho sperimentato qualcosa e penso sia andata bene; ho fatto quattro candele diverse tutte odorose e pronte per essere improntate.
Sono venute fuori da sole e sono di quattro colori diversi, quelli che mi sono trovata: verde, rossa, bianca e nera.
Coincidenze, già.
Quella rossa voleva prendere vita sin dalla fusione e ha fatto delle evoluzioni inspiegabili che le altre nemmeno si sono sognate.
Speriamo che abbia il significato che gli ho attribuito.
E riflettevo nel frattempo, su una frase che ripetiamo spesso: le dita nere di fornace.
Lo so, è solo cera, comunissima cera.
Ma questo è il mio piccolo calderone, questa la forma che ho dato alla materia liquida, questo è il processo di solidificazione. Questa è la mia piccola creazione. Dallo stoppino alla forma del vasetto.
Una comune candela.
E ci sarà una Fiamma.
Definitiva per ciò che di definitivo ci sarà, sarà solo Lei, la Fiamma che potrà stabilire se ho fatto o meno una buona candela.
E lo saprò, mi auguro.
Dita nere di fornace.
Nere le dita nella fornace.
Della fornace, nere le dita.

Non vuol dir nulla. Sì.
Solo il flusso dei miei pensieri e nulla di più.
A quella frase ci sono arrivata semplicemente perché mi sono bruciata, nulla di trascendentale, fin qui.
Nulla di nulla a dire il vero.
Lo volevo fare e l’ho fatto.
E sto meglio così.
E ricomincio dalla cera.

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